giovedì 17 dicembre 2009

fibromialgia

La Fibromialgia (FM) è classificata tra i reumatismi extra-articolari, di natura funzionale. E’ caratterizzata da dolore muscolo-scheletrico diffuso cronico e dalla presenza di punti dolorosi (tender points) caratteristici (figura).
La FM è inoltre caratterizzata da intensa stanchezza, già presente al risveglio mattutino, che si associa ad un corteo di sintomi neurovegetativi che spesso portano il malato a consultare molteplici specialisti e ad eseguire innumerevoli indagini di laboratorio e strumentali, prima che la diagnosi venga definita. Tra questi sono assai frequenti: disturbi intestinali, disordini del ciclo mestruale, cefalea, tachicardia, dispnea, ansia e depressione del tono dell’umore. Per tali motivi la Fibromialgia, così definita dal reumatologo, viene diversamente denominata da altri specialisti che affrontano aspetti diversi di un’unica sindrome: colon irritabile dal gastroenterologo, cefalea muscolotensiva dal neurologo, sindrome dismenorroica non classificabile dal ginecologo, sindrome da intolleranze multiple non allergiche dall’allergologo, dolore toracico idiopatico dal cardiologo, ecc.La FM viene definita primaria, o idiopatica, quando non è associata ad altra patologia; viene definita secondaria quando viene diagnosticata in associazione ad altre condizioni cliniche (patologie croniche nella maggior parte dei casi).La FM primaria è una condizione frequente (circa il 2% della popolazione) e colpisce preferenzialmente, senza esclusione di età, le donne (M/F = 1/9). Tra le affezioni muscoloscheletriche è seconda solo all’osteoartrosi.
La causa
Non è nota la causa della FM e la patogenesi è ancora scarsamente chiarita. Sicuramente, come dimostrato in patologia comparata, è centrale (presente in ogni soggetto) un disturbo del sonno e del riposo notturno. Questi malati sono inoltre accomunati dalla sensazione di stanchezza maggiore al risveglio mattutino, rispetto alla sera precedente. Al dolore si accompagnano contratture dolorose muscolari di entrambi i cingoli e paravertebrali, anch’esse più intense al risveglio. Questi malati hanno scarsa resistenza allo sforzo e alla concentrazione prolungata. Questa spesso viene imputata della cefalea.La riduzione, dimostrata negli animali, di serotonina e di altri neurotrasmettitori, a livello encefalico è responsabile della riduzione della soglia del dolore e della amplificata percezione di stimoli dolorosi e neurovegetativi. Questa osservazione giustifica il largo impiego di anti-depressivi che viene fatto per la terapia di questi soggetti. Nei soggetti con FM sono stati riscontrati ridotti livelli serici di serotonina e incrementati livelli di sostanza P, rispetto ai soggetti sani.
La diagnosi
La diagnosi di Fibromialgia è clinica (basta una visita da parte di un medico esperto); non esistono test di laboratorio o esami strumentali che aiutino la diagnosi. La presenza di dolore artro-muscolarediffuso (presente sia nel lato destro che sinistro, superiore e inferiore del corpo), perdurante da oltre un mese, con dolore evocato alla pressione (4 Kg/cm) di tipici trigger points (almeno 11 su 18), in assenza di altre condizioni patologiche a giustificazione del quadro clinico, è sufficiente per la diagnosi (figura 1). La diagnosi differenziale è importante per la definizione diagnostica di FM primaria e per non sottovalutare, con ritardo diagnostico, condizioni patologiche di maggior gravità, quali la Sclerosi Multipla e le connettiviti.La Fibromialgia “secondaria”La Fibromialgia compare frequentemente nelle affezioni muscolo-scheletriche croniche, quali le artriti e l’osteoartrosi. Nelle artriti il dolore, tipicamente notturno, determina una alterazione del sonno e del riposo che sono al centro della patogenesi della FM. Inoltre, lo stato di frustrazione derivante dalla perdita di capacità funzionale e indipendenza, nonché la preoccupazione per l’evoluzione del danno anatomico indotto dalla malattia, inducono ansia e riduzione del tono dell’umore.Non è infrequente che pazienti portatori di Artrite Reumatoide o di Spondilite sviluppino una sindrome dolorosa, miofasciale diffusa, definibile come Fibromialgia secondaria. Spesso il reumatologo osserva un miglioramento dell’artrite in terapia, ma il paziente prosegue a lamentare intenso dolore. Gli indici soggettivi di percezione del dolore (scale visuo-analogiche di dolore e salute complessiva) rientrano tra le valutazioni di risposta clinica alla terapia (e.g. Disease Activity Index). L’icremento del punteggio degli indici compositi implica scelte terapeutiche con incremento della terapia farmacologia e, oggi, nella scelta delle terapie con i farmaci biologici (File F).La presenza di una fibromialgia secondaria nelle artriti, può determinare un inutile e costoso incremento delle terapie farmacologiche, là dove sarebbe più opportuno intervenire sull’incremento della soglia del dolore.
La prognosi
La Fibromialgia non toglie un’ora di vita, ma può “avvelenare” ogni ora della vita. La qualità di vita del paziente fibromialgico è peggiore di quella indotta da malattie considerate ben più gravi, quali l’artrosi, le artriti e le connettiviti.La convivenza cronica con dolore e stanchezza induce depressione e assenza di progettualità. A loro volta queste condizioni aggravano la fibromialgia.
La terapia
La gestione del malato con fibromialgia, spesso avversata da molti medici per l’enorme carico di “tempo lavoro” richiesto e i frequenti insuccessi terapeutici, ripropone il tema della medicina “scienza e arte”. Spesso questi malati vengono semplicemente definiti ansiosi, “psicosomatici”, o malati immaginari e raramente considerati dal medico che ha osservato la negatività di ogni accertamento diagnostico proposto.La terapia della fibromialgia non è standardizzata, ma sicuramente non può basarsi solamente sui farmaci. Questi (anti-depressivi, ansiolitici, anti-infiammatori, cortisonici, anti-dolorifici, miorilassanti, gabapentin, pregabalin, ecc.) vengono spesso mal tollerati e, nei casi migliori, dimostrano un’efficacia di breve durata. Metodiche di fisiochinesiterapia vengono spesso attuate con scarsa compliance del malato e quindi con discutibili risultati. L’esercizio muscolare aerobico è assai importante, in grado di migliorare tutti i sintomi, ma è necessario dapprima ridurre di intensità il dolore miofasciale e la stanchezza, pena la non possibilità ad essere eseguito.Il medico, per ottenere successo nella gestione della FM, si deve proporre come medicina, esso medesimo. L’ascolto compassionevole del paziente, la delucidazione con parole semplici dei meccanismi fisiopatologici che determinano il dolore percepito nella FM, la rassicurazione sulla non gravità della malattia sull’aspettattiva di vita e la possibilità di miglioramento, sono alla base di un successo terapeutico.Come asserito dalla Associazione Americana della FM, il primo punto della terapia della FM si basa sulla pianificazione di un pacchetto di controlli ravvicinati nel tempo, per non abbandonare il malato. Al paziente viene richiesto di partecipare attivamente alla propria cura, tendendo ad incrementare l’autostima e il grado di volontà a reagire alla condizione patologica. Spesso la cura inizia nella presa di coscienza da parte del malato di non essere affetto da una patologia che abbrevierà la vita, della non necessità di ulteriori indagini di laboratorio e strumentali, nella possibilità di guarigione. Il paziente collabora attivamente alla propria cura mediante l’esecuzione costante di esercizio aerobico, appreso mediante programmi educazionali.Metodologie di medicina complementare, basate sulla meditazione, possono risultare assai utili ai pazienti che abbiano la volontà di apprenderle ed applicarle con costanza.

Lezione sulla fibromialgia del Dr. PC Sarzi Puttini - Reumatologia Ospedale Sacco di Milano
La mia esperienza:Come posso far capire al malato cosa è e come poter gestire la fibromialgia
Migliorare senza farmaci?
Reiki e fibromialgia


ARTRITE REUMATOIDE:IMPORTANZA DELLA DIAGNOSI PRECOCE

FERMARE L'ATRITE REUMATOIDE UNA SFIDA POSSIBILE
Costruire e diffondere un percorso che faciliti la diagnosi precoce dell’artrite reumatoide per non perdere l’opportunità di modificare, attraverso un intervento terapeutico tempestivo ed aggressivo, l’evoluzione invalidante di questa malattia. Dalla stretta collaborazione tra il medico di medicina generale (MMG) e lo specialista reumatologo, nel rispetto dei reciproci ruoli, dipende la realizzazione di questa opportunità per il malato e per la società che non dovrà sostenere i costi dell’invalidità indotta da questa malattia.

In poco meno di 10 anni è profondamente mutato l’atteggiamento terapeutico dell’Artrite Reumatoide (AR) che colpisce in Italia oltre 400.000 persone. L’acquisita coscienza della gravità di questa patologia ha modificato il precedente approccio attendistico che prevedeva di iniziare la terapia con farmaci antireumatici solo in fasi estremamente avanzate di malattia, quando la persistente infiammazione articolare aveva ormai indotto un danno irreversibile alle articolazioni.Attualmente sappiamo che una terapia precoce ed aggressiva può determinare un significativo ritardo del danno anatomico articolare e della disabilità da questo conseguente. Un maggiore numero di farmaci anti-reumatici è oggi disponibile, anche per un impiego d’associazione nei casi più resistenti e l’immissione in commercio dei farmaci biologici anti-citochine ha segnato una nuova era nel dominio della infiammazione sistemica dell’AR e di altre poliartriti croniche (Artrite Psoriasica e Spondilite Anchilosante). E’ necessario tuttavia agire velocemente. La terapia anti-reumatica, perché possa prevenire il danno articolare, dovrebbe essere iniziata entro 6 mesi dall’esordio dei sintomi di artrite (tumefazione dolorosa di tre o più articolazioni con prolungata rigidità al risveglio mattutino).Perché possa essere perseguita una diagnosi così precoce è necessaria la valorizzazione dei sintomi d’esordio da parte del malato, del medico di medicina generale, del reumatologo e di tutti gli altri specialisti che per primi valutano il malato (fisiatri, ortopedici, internisti), uniti in un patto di buona condotta per la vittoria finale sull’artrite. Ogni figura assistenziale ha un ruolo importante nelle diverse fasi dell’artrite. Al reumatologo che ha esperienza ed è dedicato a queste problematiche compete la conferma della diagnosi, l’induzione e il consolidamento della remissione (termine che definisce la guarigione dai sintomi di una malattia che deve continuare ad essere curata perché non se ne conosce la causa) mediante la scelta della più opportuna terapia anti-reumatica. Al medico di medicina generale (MMG) compete il compito di sospettare la diagnosi, inviare allo specialista e successivamente gestire la terapia famacologica a lungo termine, avvalendosi di tutti gli specialisti in caso di recidiva o complicazioni. Ai fisiatri è richiesto di isegnare al malato a proteggere le proprie articolazioni e di intraprendere programmi riabilitativi. Ai chirurghi ortopedici di correggere i danni instaurati della malattia.La diagnosi precoce non è tuttavia facile e il decorso dell’AR è variabile e difficilmente prevedibile per ogni soggetto. Tipicamente il decorso distruttivo articolare è lento, ma progressivo. In alcuni soggetti l’artrite può scomparire spontaneamente nel volgere di qualche settimana dall’inizio dei sintomi, specie nei casi sostenuti da infezioni. Quindi è necessario individuare, all’esordio dell’artrite, i soggetti destinati ad una persistenza dell’infiammazione e con maggiore probabilità di avere una forma aggressiva con precoce evoluzione del danno erosivo articolare. Sono questi i malati in cui un intervento terapeutico precoce e vigoroso può determinare l’arresto della progressione dell’artrite. Questi malati hanno bisogno di essere sottoposti, nel primo anno di malattia, a molti controlli specialistici, esami e radiografie. Tuttavia se la remissione viene raggiunta e consolidata avranno negli anni successivi meno bisogno di eseguire visite, esami, ricoveri, interventi chirurgici, farmaci. Nel lungo termine si configurerebbe un risparmio notevole di spesa in farmaci e prestazioni sanitarie e una ridotta medicalizzazione del malato.

Gli esami indispensabili all'esordio:
VES
PCR
Emocromo completo
Urine completo
GOT e GPT
Acido Urico
Creatinina
anti-Citrullina (CCP)
Fattore Reumatoide
ANA con titolo
Radiografie mani e piedi

Sintomi di esordio:
Dolore mani e piedi
Rigidità prolungata al risveglio mattutino
Tumefazione (gonfiore) di tre o più articolazioni






nuove terapie per l'artrite reumatoide

Introduzione
Nonostante non sia ancora nota la causa scatenante (1) l’Artrite Reumatoide (AR), nel corso degli anni ’90 è stato definitivamente dimostrato che l’infiammazione cronica è determinata ed alimentata dalla rottura dell’equilibrio fisiologico tra proteine pro-infiammatorie (che alimentano l’infiammazione) e anti-infiammatorie (che inibiscono l’infiammazione). Queste proteine, dette citochine, sono prodotte da alcuni tipi di globuli bianchi (linfociti e macrofagi) e sono necessarie, in condizioni normali, per l’integrità della risposta immunitaria a svariati insulti ambientali (ad esempio le infezioni). L’infiammazione rappresenta infatti un importante meccanismo di difesa dell’organismo, ma è necessario che essa venga limitata nel tempo, una volta superata l’aggressione ambientale, per non danneggiare il medesimo organismo. La natura ha predisposto un sofisticato sistema di cellule, proteine e recettori che funzionano all’equilibrio. Infatti, all’incremento fisiologico delle proteine infiammatorie, corrisponde un incremento di recettori solubili e proteine anti-infiammatorie che, nel volgere di breve tempo, ripristinano l’equilibrio del sistema.L’artrite Reumatoide è determinata dalla rottura di questo equilibrio e nelle sedi articolari permangono cronicamente elevati e prevalenti le proteine pro-infiammatorie. Ciò determina dolore, tumefazione e rigidità articolare. Nella maggior parte dei malati il decorso della artrite conduce ad alterazioni invalidanti delle articolazioni con notevole riduzione della qualità della vita. L’infiammazione cronica inoltre induce un precoce invecchiamento delle arterie (aterosclerosi) per cui è stato osservato che infarti del miocardio e ictus cerebrali possono verificarsi in età precoce nei malati di AR rispetto alla popolazione generale. Infine è dimostrato che l’Artrite Reumatoide provoca enormi costi alla società per le cure (ricoveri, visite, farmaci, contributi di invalidità) e per la perdita di giornate lavorative e precoci abbandoni del posto di lavoro (2). A questi vanno sommati i costi che i malati e le loro famiglie devono sostenere per l’aiuto a loro necessario. I costi aumentano con l’aumentare della disabilità che, in genere, interviene nelle fasi più evolute della malattia. E’ stato però osservato che è possibile cambiare il decorso della malattia e prevenire, o quantomeno ritardare, l’evoluzione verso l’invalidità. La opportunità di bloccare questa malattia distruttiva è dipendente dalla diagnosi precoce e dalla impostazione di una corretta terapia con farmaci anti-reumatici fin dalle prime fasi della AR. Affinché ciò sia realizzabile devono essere coinvolti i Medici di Medicina Generale e gli Specialisti alla condivisione di un definito percorso diagnostico-terapeutico. All'esordio dell'artrite il malato lamenta dolore e tumefazione articolare. Per questo motivo, nella maggior parte dei casi, si rivolge al proprio Medico di Medicina Generale che ha l'importante compito di sospettare la malattia e di inviare tempestivamente il malato allo specialista. Quest'ultimo avrà il compito, applicando il ragionamento diagnostico differenziale, di giungere alla diagnosi, classificare la malattia sulla base di fattori prognostici, informare il malato e proporre la terapia anti-reumatica. Entrambi i medici, a disposizione del malato, avranno cura di sorvegliare l'evoluzione della malattia e i potenziali effetti tossici dei farmaci, collaborando in stretta integrazione, nel rispetto dei reciproci ruoli.
Farmaci vecchi e nuovi per una strategia terapeutica vincenteI farmaci anti-reumatici (elencati in tabella 1) fino ad oggi impiegati per la cura dell’Artrite Reumatoide possono, se impiegati precocemente, entro sei mesi dall’esordio dei sintomi, modificare il decorso della malattia ed efficacemente contrastare l’evoluzione verso l’invalidità.
Sono questi i farmaci su cui si basa l’intervento terapeutico precoce e, nonostante l’avvento dei nuovi farmaci biologici, mantengono immutata la loro preminente posizione nelle strategie terapeutiche anti-reumatiche. I farmaci attivi solo sui sintomi (cortisone e anti-infiammatori non steroidei) non impediscono che il danno articolare proceda e quindi non vanno impiegati da soli.L’obiettivo principale della terapia precoce è l’iduzione della remissione veloce (entro 3 – 4 mesi) e completa dei sintomi (dolore, rigidità articolare, stanchezza), dei segni (tumefazione delle articolazioni) e dei parametri laboratoristici di infiammazione (VES e PCR). E’ quindi necessario uno stretto monitoraggio del malato, con frequenti visite specialistiche, al fine di “misurare” il grado della risposta alla terapia. Tra questi parametri la valutazione nel tempo dell’anatomia articolare, mediante l’esecuzione di radiografie, riveste particolare importanza.Nel caso di mancata o incompleta risposta alla terapia con farmaci anti-reumatici tradizionali, anche assunti in associazione tra loro, è possibile impiegare i farmaci biologici, soprattutto nei casi in cui è prevedibile una evoluzione sfavorevole. Questi farmaci rappresentano la grande novità terapeutica degli ultimi 9 anni e derivano dalla sintesi in laboratorio (e produzione su vasta scala) di anticorpi e recettori in grado di mimare la normale funzione delle proteine naturali anti-infiammatorie e, per questo motivo, sono stati definiti farmaci biologici.I farmaci biologici si sono dimostrati in grado, in tempi molto brevi rispetto ai farmaci tradizionali, di indurre un soddisfacente controllo dell’artrite e dell’evoluzione del danno erosivo articolare in un elevato numero di malati in cui si è osservato fallimento dei medesimi farmaci anti-reumatici. Spesso questi ultimi (prevalentemente il Methotrexate) vengono mantenuti associati ai farmaci biologici per potenziarne l’azione o per prevenire il calo di efficacia nel tempo. Se la remissione viene raggiunta nelle fasi precoci della malattia reumatoide, è stato dimostrato che è possibile giungere alla sospensione dei farmaci biologici.
I farmaci biologici: il profilo di sicurezzaLe linee guida di impiego di questi farmaci (3) sottolineano l’importanza di ricercare la tubercolosi latente e di eradicarla; di evitarne l’impiego in soggetti con malattie demielinizzanti del sistema nervoso centrale, in soggetti con scompenso cardiaco evoluto e in pazienti con neoplasie maligne pregresse o in atto. Va inoltre posta particolare attenzione nell’impiego in soggetti con infezioni virali croniche (virus B dell’epatite).Ad oggi sono stati curati con i farmaci biologici migliaia di malati ed è quindi noto il loro profilo di tollerabilità nel breve/medio periodo. Le infezioni, sostenute dalla depressione della risposta del sistema immunitario, cui è anche legata l’efficacia terapeutica, si sono dimostrate essere l’effetto collaterale più frequente. Si tratta nella maggior parte dei casi di infezioni non gravi, trattabili e risolvibili con antibiotici. La più temibile, tra le infezioni osservate, si è dimostrata essere quella tubercolare, in soggetti con tubercolosi latente, ma misconosciuta, prima della terapia con biologici. I farmaci biologici anti-TNF determinano la lisi (dissolvimento) del granuloma che tiene murato il micobatterio tubercolare, con conseguente ripresa dell’infezione, nei soggetti con infezione latente. L’accurata ricerca, mediante radiografia del torace ed esecuzione della intradermo-reazione di Mantoux, della infezione latente prima dell’inizio della cura e l’eventuale profilassi con farmaci anti-tubercolari dove presente l’infezione nascosta, ha permesso di minimizzare il rischio di riaccensioni tubercolari. I farmaci anti-TNF possono essere utilizzati nei soggetti con infezione da virus C dell’epatite, ma vi sono raccomandazioni di cautela in quelli con infezione cronica o latente da virus B dell’epatite. In questi casi viene consigliata una terapia anti-virale concomitante.Un altro possibile effetto collaterale è rappresentato dalle reazioni di intolleranza durante le infusioni dei farmaci biologici. Arrossamento, prurito e gonfiore nella sede della infusione sottocute e crisi vasomotorie (anche anafilattiche) durante le somministrazioni endovena sono state osservate e rappresentano motivo di sospensione della terapia in un limitato numero di casi.Nei soggetti che assumono farmaci biologici è stata osservata la comparsa nel siero di auto-anticorpi (ANA e Anti-DNA) in bassa concentrazione che non hanno determinato però l’emergenza di sintomi riferibili a malattia autoimmune sistemica. Nonostante il periodo di esposizione a questi farmaci non sia molto lungo, non si è rilevato una maggiore incidenza di tumori nei soggetti trattati, rispetto ai soggetti con AR non curati con farmaci biologici. Considerata tuttavia l’importanza di questo aspetto, un attento monitoraggio anti-tumorale si impone nella pratica terapeutica con questi farmaci.Questi farmaci possono essere utilizzati finno alla diagnosi di gravidanza, quindi sospesi, nonostante non sembrino determinare malformazioni fetali.Nei soggetti anziani (età > 65 anni) i farmaci biologici anti-TNF sono molto efficaci, ma determinano un maggiore rischio di infezioni, specie se associati a maggiori dosaggi di cortisonici.
Il vero problema: il costo della terapia con farmaci biologiciUn problema a parte è rappresentato dai costi elevati di queste terapie che ha imposto, al momento del loro ingresso nel prontuario terapeutico, la creazione di un apposito Registro Osservazionale del Ministero della Salute in collaborazione con la Società Italiana di Reumatologia (Studio ANTARES). Questo studio è finalizzato alla valutazione dei costi, della sicurezza di impiego e, in definitiva, alla individuazione del malato “candidato ideale” a queste terapie. Per questo motivo sono stati individuati Centri di Riferimento in ogni Regione per la gestione di questi malati e la trasmissione dei dati al Ministero. E’ intuibile che questi potenti farmaci dovrebbero essere impiegati, oltre che nei malati con AR evoluta, attiva e resistente alle terapie convenzionali, nelle prime fasi della malattia al fine di evitare l’evoluzione verso l’invalidità e determinare quindi un risparmio futuro di risorse economiche. I farmaci biologici trovano indicazione di impiego anche in altre malattie reumatiche infiammatorie croniche. In particolare si sono dimostrati capaci di ridurre l’attività e l’evoluzione della Spondilite Anchilosante e dell’Artrite Psoriasica.Il nostro Centro, unitamente ai Centri di Reumatologia del Policlinico di Pavia, Milano Ospedale Sacco e Milano Istituto Ortopedico G. Pini, ha contribuito alla creazione del Registro più grande d’Italia. Oltre 1.300 malati di AR evoluta e resistente ai farmaci convenzionali, esposti ai biologici anti-TNF, sono stati seguiti per oltre 2 anni. Una soddisfacente riduzione dei sintomi e dei segni di malattia è stata ottenuta in oltre il 70% dei pazienti. Gli effetti indesiderati rilevati fanno confermare il buon profilo di sicurezza, confermando quanto già noto riguardo alle infezioni soprattutto.
ConclusioniL’Artrite Reumatoide è una malattia cronica grave che esita, in numerosi pazienti, in importante disabilità, riduzione della qualità e quantità di vita e in progressivo incremento di costi economici, correlati al grado di evoluzione. E’ stato dimostrato che un intervento specialistico terapeutico precoce è in grado di arrestare, o quantomeno rallentare, questa evoluzione distruttiva articolare invalidante e di ripristinare qualità e quantità attesa di vita. Questa opportunità, che viene persa quando la malattia è più evoluta, si basa sulla diagnosi precoce. E’ necessario quindi un programma di informazione alla popolazione e una stretta integrazione del Medico di Medicina Generale che per primo valuta il malato con esordio di artrite con lo specialista che proporrà e gestirà la terapia. Nonostante il tentativo di induzione di una stabile remissione all’esordio di malattia poggi sull’impiego dei tradizionali farmaci anti-reumatici, l’attuale disponibilità dei farmaci biologici incrementa le possibilità di vincere la guerra contro l’Artrite Reumatoide.Abbiamo da tempo messo a disposizione sul nostro sito (http://www.bresciareumatologia.it o www.artriti.it) informazioni per l’esecuzione degli esami di primo livello e un recapito cui il Medico di Medicina Generale della nostra provincia può fare riferimento per avere visite sollecite all’esordio di artrite.
Bibliografia essenziale1. Harris ED Jr Rheumatoid arthritis: pathophysiology and implications for therapy. N Eng J Med 1990; 322: 1277-12892. Wolfe F, Zwillich SH. The long-term outcomes of rheumatoid arthritis: a 23-year prospective, longitudinal study of total joint replacement and its predictors in 1,600 patients with rheumatoid arthritis. Arthritis Rheum 1998; 41: 1072-82G.3. Valesini et al. Recommendations for the use of biologic (TNF-_ blocking) agents in the treatment of rheumatoid arthritis in Italy. Clin Exp Rheum 2006;24;4;413-423

Anti TNF INDICAZIONI:
Artrite Reumatoide attiva e resistente al Methotrexate o ad altri anti-reumatici
Artrite Psoriasica attiva e resistente alle terapie convenzionali
Spondilite anchilosante attiva e resistente ai FANS

Screening pre-terapia:
Reazione di mantoux; RX torace; HBsAg e HBcAb; escludere scompenso cardiaco, pregresse neoplasie e malattie demielinizzanti; escludere infezioni recidivanti.
Sospendere se gravindex positivo

Comunicare tempestivamente al medico curante eventuali infezioni (febbre).
Il Medico di Famiglia deve essere informato di queste terapie.
Eseguire controlli dallo specialista che ha prescritto questi farmaci ogni 2-4 mesi.